La femminilità rappresentata da Zoe Natale Mannella

Zoe Natale Mannella, giovane fotografa napoletana dall’estetica tanto delicata quanto sensuale.
Tra i tanti pregiudizi che investono il settore fashion, ce n’è uno bello grosso che grava sulle spalle della fotografia di moda: è spesso ritenuta spersonalizzata e spersonalizzante, volta solo ed esclusivamente a valorizzare il capo o l’accessorio oscurando l’identità dell’autore e del soggetto.

Dagli anni ’80 in poi i fotografi di moda hanno messo in discussione tutto quell’immaginario patinato – Helmut Newton vi dice nulla? – e la loro impronta personale ha iniziato a emergere sopra a tutto, infrangendo quell’effetto impostato anni ’70 che faceva molto copertina di plastica pensata a tavolino. A volte, ancora oggi, si tende a snobbare la fotografia di moda in favore di lavori documentari o di reportage, considerati più “utili” – categoria di giudizio di per sé piuttosto discutibile in fatto di arte – e “veri”, dimenticando che dietro a ogni inquadratura c’è sempre una sensibilità che prende delle scelte a seconda di come vuole collocare i propri scatti all’interno dei discorsi contemporanei – corpo, femminilità, identità, estetica. E anche se si tratta di moda il discorso rimane più che valido.
Ecco perché ricerche come quella di Zoe Natale Mannella sono la dimostrazione di quanto queste schematizzazioni non abbiano senso e siano solamente fuorvianti nei confronti di un’opera fotografica. Zoe non è una fotografa di moda né una fotogiornalista, è entrambe le cose e anche molto di più: gioca con i vestiti e i corpi per riflettere su ciò che significa per lei essere donna oggi e sullo storytelling femminile contemporaneo, frutto di una grande presa di coscienza nei confronti del proprio corpo e dell’infinità di modi possibili in cui ci si può sentire sicuri di sé e sereni. Senza alcuna intenzione pedagogica, Zoe si limita a scattare per conoscere, per scoprire ciò che esprimiamo attraverso i nostri corpi, con una delicatezza poetica, come fosse una fiaba visiva.

Ma lasciamo che sia direttamente lei a parlare nello specifico di questo suo progetto: Taxidì.

Ciao Zoe! Ho conosciuto il tuo lavoro per la prima volta l’anno scorso, quando hai scattato il lookbook di Vìen. È chiaramente un lavoro di fashion photography, ma con uno studio della composizione e un’attenzione al volto insoliti in questo settore. Tu ti consideri una fotografa di moda? Perché?
Ciao Amanda! Beh, sicuramente in quel lavoro c’era anche una grande ricerca di styling e devo riconoscere che Thais fece davvero una super ricerca. Mi considero una fotografa di moda perché credo che attraverso la coniugazione di capi, modelle, luci ecc. io riesca a esprimermi in modo più completo di quanto potrei se facessi ad esempio pura fotografia d’arte. Mi piace usare i vestiti, mi piace guardarli, capire i loro punti di forza, farli muovere, trovare un’inquadratura che possa rendermi soddisfatta. Mi piace dovermi confrontare con un medium che si interpone tra me e ciò che voglio esprimere nella foto. In definitiva, porrei la mia fotografia a cavallo tra la moda posata dei grandi magazine e un approccio più artistico o da reportage.

E come hai cominciato? Ho letto in giro che ti sei avvicinata alla fotografia sin da piccola, vuoi parlarcene in modo più approfondito?
La prima reflex mi è stata regalata a 12 anni da mio papà, che è un appassionato di fotografia. Lì è scattata la scintilla. Mi sono dedicata alla fotografia durante gran parte dell’adolescenza, ma se dovessi dire che ero una di quelle teenager prodigio che a 15 anni fanno foto mozzafiato, mentirei! Ho iniziato a pensare seriamente alla fotografia come lavoro appena finito il liceo. Mi sono iscritta alla facoltà di biologia a Napoli (assurdo, vero?) e dopo i primi mesi ho iniziato a sentire di stare facendo la cosa sbagliata, come un’angoscia che non mi lasciava andare. Così un giorno ho deciso di trasferirmi a Milano. Non sapevo bene come sarebbe andata, non avevo contatti né un portfolio decente. Sapevo solo che quello della fotografia era un mondo che mi affascinava e di cui volevo far parte. Da fuori sembra tutto idilliaco: le sfilate, le top model, la grande città. Piano piano mi sono fatta strada nei backstage, ho conosciuto persone che mi hanno aiutato a capire quale fosse la mia strada e come iniziare a percorrerla (tra queste sicuramente Alessio Costantino è stato un punto di riferimento fondamentale per me) e mi sono buttata a capofitto in questo mondo frenetico. Poi è successo tutto il resto.

Sei nata a Londra, poi ti sei trasferita a Caserta e nel 2017 sei arrivata a Milano? Credi che quest’ultima città offra ai giovani fotografi un ambiente abbastanza internazionale e creativo in cui vivere? E perché hai scelto di non tornare a Londra, che da molti è vista come La Mecca della creatività?
Sì, ho girato un po’. Mio padre vive a Lugano, quindi sono cresciuta tenendo sempre un piede fuori da Caserta, e credo che sia stato fondamentale per la mia formazione. Milano è stata una piacevole sorpresa. Quando cresci nel sud Italia sei un po’ inconsciamente spinto a demonizzare il nord e a pensare all’estero come a un paradiso di opportunità e offerte di lavoro. Invece io ho trovato qui la mia dimensione. Ho le mie amiche, la mia casa, i miei posti preferiti, l’università. Dico sempre che Milano è un buon compromesso tra una grande metropoli internazionale e una piccola cittadina dove muoversi in bici e tutto è raggiungibile comodamente con i mezzi pubblici. Londra è the place to be se vuoi fare il mio lavoro, questo è indubbio. Ci sono mille redazioni, mille designer, mille opportunità in più, ma è una città troppo frenetica per me. La vita costa cara e la concorrenza sfrenata non aiuta. Sicuramente tornare a Londra è nei miei piani, soltanto vorrei farlo al momento giusto, quando sarò abbastanza formata per fare il salto senza ritrovarmi a dover fare due lavori per pagare l’abbonamento dei mezzi.

Nella serie Taxidì parli di un’Italia, anzi, di una Puglia, sospesa fuori dal tempo. Le foto potrebbero essere state scattate ieri come 50 anni fa. È una scelta voluta?
Taxidì non è stato un progetto pensato. Ero semplicemente lì, in vacanza con le mie amiche, e ho scattato delle foto. Riguardandole mi sono resa conto che esprimevano esattamente ciò che per me significa essere donne, essere serene e amare. La Puglia è uno dei posti che preferisco, ci torno in pellegrinaggio almeno una volta all’anno. Quei luoghi sono così selvaggi e incontaminati da sembrare fuori dal tempo, andavamo in giro tra rocce e calette dimenticate. È stata una scelta voluta, certo, ma in reazione a ciò che hanno suscitato in me i luoghi in cui sono andata a passeggiare e fare il bagno con le amiche, non da un set fotografico “istituzionale”.

Alcuni scatti sott’acqua mi ricordano Le Sirene di Kate Bellm, che ci aveva spiegato: “Mi piace il contrasto tra i miei scatti di moda, così innaturali e impostati, e quelli completamente liberi e selvaggi che faccio per il mio portfolio personale. Credo sia un po’ il modo in cui percepisco il mondo.” Sei d’accordo con lei? Anche per te esiste un confine così netto tra fotografia di moda e progetti personali?
La mia ricerca vorrebbe proprio accorciare il gap tra questi due mondi. Credo sia necessario che, dopo un po’ di sperimentazione di stili e tecniche diverse, uno trovi la propria strada e la segua. Penso che una situazione intima e spontanea, per quanto sia pur sempre una costruzione fittizia, mi si addica di più rispetto alle foto molto posate anni ’70. Quindi al momento anche le mie foto “moda” puntano a una maggiore fluidità di movimenti e a espressioni più naturali.

Il corpo femminile è il grande protagonista di tutti i tuoi lavori, che fotografi con delicatezza e poesia, quasi stessi raccontando una fiaba visiva. Perché hai scelto di concentrarti proprio sulle forme della donna?
L’interesse verso la narrazione del corpo femminile nasce da una grande presa di coscienza di ciò che significa imparare a vivere nella propria pelle e nel proprio corpo. Durante l’adolescenza non fai caso a come ti senti, a come sta il tuo corpo, pensi solo se ti piaci o meno, se rispetti i canoni, se devi perdere peso, se hai le gambe a “x”… Qui a Milano ho lentamente iniziato a porre attenzione al significato di “stare bene”. A come le persone si relazionano con il loro corpo e in quanti modi diversi ci si può sentire sicuri di sé e sereni nella propria pelle. La mia, però, non ha mai voluto essere un’indagine sociale. Scatto per conoscere. Scatto perché sono attratta dalla capacità che i nostri corpi hanno di esprimere ciò che siamo e sentiamo. Preferisco le donne perché credo di essere più disinibita con loro, riesco più facilmente a sentirmi a mio agio e a mettere loro a proprio agio.

Cosa c’è nel tuo futuro? Programmi, idee, mostre, viaggi?
Ho mille progetti in corso. Ad agosto avrò l’opportunità di far parte del Base Camp durante il Festival del Cinema di Locarno, un’iniziativa offre una residenza d’artista a una selezione di giovani talenti, con l’obiettivo di realizzare i propri progetti personali e raccontare l’atmosfera del festival.
Fonte : I.D.vice.com
Consiglio di guardare anche le bellissime foto di questa serie sempre realizzate da Zoe Natale Mannella.

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